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Il Popolo d'Italia

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Femminicidio: un reato inutile.

Parlano di femminicidio come se fosse una sciagura dovuta ad un virus che infetta solo il genere maschile tramutandolo in un killer che uccide solo le donne.

Una sorta di “Jack lo squartatore” collettivo senza freni al proprio istinto femminicida. E quando una donna viene uccisa da un uomo, subito si levano gli scudi della società da solotto, dei “pensatori”, dei politici, dei media, tutti in difesa del povero genere femminile, mentre scatta inappellabile la condanna, non solo verso l’assassino, ma anche – e soprattutto – verso tutto il genere maschile, come se quell’uomo avesse ucciso per conto di tutti gli altri o appartenesse ad una tribù di selvaggi con il culto del femminicidio come rito tribale.

Quando però è una donna che uccide, le stesse persone che si erano stracciate le vesti in loro difesa tacciono, fanno finta di non sapere, di essere distratti, e l’ipocrisia cade sulle loro teste come una scure.

E’ notizia di pochi giorni fa: una madre a Trieste ha ucciso a coltellate il figlio di 9 anni. Una situazione stranamente, colpevolmente, non valutata nè prevista da chi avrebbe dovuto e potuto prevederla essendoci tutti i presupposti perché quella tragedia potesse accadere.

Tutti noi abbiamo ascoltato le parole che erano state dette dal bambino in quel video tremendo, probabilmente gli unici che non l’hanno ascoltato o che non hanno dato eccessivo peso alle sue parole sono stati proprio coloro che avrebbero potuto evitare il dramma.

«Sono triste, quando vado dalla mamma…». «Ma perché?». «Perché ho paura». «Cosa ti stava facendo la mamma?». «Mi stava strozzando» (e mima il gesto dello strangolamento). Poi, più preciso: «La mamma mi ha preso per il collo, stringendolo con entrambe le mani».

Il padre aveva denunciato più volte la ex moglie ucraina per le sue azioni violente nei confronti del figlio ed i servizi sociali erano intervenuti come sempre accade in questo caso.

E come spesso accade in questi casi, sia i servizi sociali che le autorità preposte hanno preferito non prendere seriamente in considerazione la possibilità di un tragico epilogo, cosa che puntualmente è avvenuto.

Forse, coloro che sono preposti al controllo di simili situazioni, partono dal concetto che una donna, in quanto tale, non sia capace di fare del male a nessuno, tanto meno ai propri figli. Suppongono che la donna sia sempre la vittima, in ogni caso, a precindere!

Una forma di presunzione irreale e illogica che porta, di contro, all’aumento delle possibilità di una svolta criminale per i casi come quello di Trieste.

Passano pochi giorni ed un altro caso di “purezza femminile” balza agli onori delle cronaca.

In provincia di Perugia un’altra madre uccide il figlio di 11 anni a coltellate. Anche qui il silenzio dei soliti urlatori contro il femmincidio, che cade ignobilmente sulle loro teste – ancora una volta – davanti alla morte di un giovane ragazzino.

Le due donne, secondo le argomentazioni date in pasto al pubblico al fine di non screditare una lotta insignificante – perchè il reato di omicidio è già previsto dalla legge benchè il governo attuale abbia dichiarato il femmincidio un reato più grave dell’omicidio – avevano una sola cosa in comune: entrambe soffrivano di disturbi mentali.

Ed ecco servita la giustificazione che assolve in parte le assassine e mantiene inalterata l’immagine del genere maschile quale unico portatore di violenza.

Così facendo i moralisti e perbenisti a frequenza alternata, hanno lasciato invariato il concetto secondo il quale se un uomo uccide una donna, l’uomo va impiccato in pubblica piazza, ma se una donna uccide i propri figli allora scatta l’attenuante, se non la giustificazione d’assolvenza, della malattia mentale, della depressione.

Assassini i primi, da capire le seconde.

E tutto questo fa enormemente schifo!

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